La Trebbia

Arrivava in paese lentamente, trainata dal grande trattore, sferragliando sulla strada sassosa con le sue ruote di metallo.
Nell’aia i contadini avevano già portato il grano, mietuto interamente a mano, costruendo con i covoni le “casacce” ai lati di una larga corsia in cui sarebbe stata piazzata la trebbia.
Le casacce erano cumuli di covoni fatti a forma di casette, col tetto spiovente fatto con gli stessi covoni, per evitare che eventuali piogge, penetrassero nel grano.
Una lunga, robusta cinghia, (foto 1 a destra) dal trattore trasmetteva il movimento a tutti i meccanismi della trebbia e della pressa, che avevano bisogno di una spinta iniziale a braccia, per partire.
Sopra la trebbia, con gesto plateale, un uomo tagliava il legaccio del covone, fatto col grano stesso, che il contadino gli passava con la forca di legno e lo faceva scendere nell’apposita apertura.
Alla testa della macchina, quella verso il trattore, (foto2) dalla bocchetta principale scendeva dentro un grande bidone il grano, che poi veniva versato nei sacchi. L’addetto segnava su un foglio il numero dei bidoni e ogni 16/17, uno spettava al proprietario della trebbia come pagamento del lavoro.
Dalla parte opposta, agganciata alla trebbia, c’era la pressa, (foto 1 a sinistra) con quella specie di testa di tirannosauro che andava su e giù per comprimere la paglia.
Due addetti ai lati della pressa, infilando delle grandi forcelle (foto 3) e nella guida di queste il filo di ferro precedentemente preparato a misura (foto 4) e con un occhiello da una parte, provvedevano a legare le balle di paglia.
Il rumore era assordante e la polvere levava la vista, ma per noi bambini, giocare a nascondino tra le casacce, era un vero sballo.

  • 01
  • 02
  • 03
  • 04

Enzo Ruscitti